Mia Regina – di Jean-Baptiste Andrea
“Perché vuoi essere un uomo?” Non sapevo cosa rispondere. Senza scomporsi, Viviane ha risposto per me. “Sei uno stupido spilungone, ecco cosa sei”.
Siamo in Provenza, all’inizio dell’estate del 1965, dopo una ripida salita il vasto altopiano si apre agli occhi di Shell, un bambino di dodici anni stanco di essere deriso a scuola e di buscarle dal padre, il gestore della locale pompa di benzina. Shell non è il suo vero nome ma è quello che sta scritto sul suo giubbino. Shell coltiva nel suo cuore un desiderio puro di grandezza, desidera l’avventura, ha visto alla televisione eroi che combattono in guerra e dunque una notte, dopo essersi accertato del sonno dei genitori, decide di andarsene (dove? ma è ovvio: lontano!) scavalca il davanzale e parte verso la gloria. Non sarà la guerra, quella che troverà sul vasto altopiano, ma Viviane, una forma scolpita dal vento, magrissima, esile, capelli corti e biondi, un ciuffo alla maschietta e due occhi furenti. “Ti odio” – ha ripetuto. “Io di più”. Si è voltata ed è andata via. E’ stato quasi un sollievo non vedere più i suoi occhi. Dopo qualche passo si è girata. “Torno domani”. Sono scoppiato a ridere – dice Shell – Che cosa credeva? L’indomani sarei stato lontano da lì, sarei arrivato dall’altra parte dell’altopiano, forse mi sarei già trovato in guerra. Ho aperto la bocca per prenderla in giro e ho detto: “ Va bene”.
Mia Regina, il meraviglioso romanzo d’esordio di Jean Baptiste Andrea, vincitore di ben 12 premi letterari, comincia così, come un inno a quel periodo atroce e delizioso della nostra vita in cui l’infanzia si fa vita adulta, il futuro è nell’attimo presente, ogni cosa è ancora gioco, l’amore è già assoluto, la dedizione è totale. Mia regina: per Shell Viviane sarà per sempre la sua regina, glielo ha giurato. Farà tutto ciò che lei gli chiederà , è logico, e poi non potrà andare a cercarla perché altrimenti si spezzerebbe l’incantesimo e lei sarebbe costretta a diventare una bambina normale. Egli l’attenderà quindi ogni mattina, quando lei lascia il suo castello magico dove le stanze si muovono e cambiano posto. I giorni dell’estate trascorrono, sono i giorni della felicità, del cuore che rimane in attesa di quella frangetta che si avvicina lentamente nell’erba alta, attraversando l’altopiano. I giorni della scoperta di nuovi sentimenti, dell’amicizia, innanzitutto e forse anche di qualcosa in più. Il tempo in cui fare i conti con le angosce e le frustrazioni del passato, i brutti ricordi capaci di coprire di ferite un cuore giovane come nemmeno la guerra potrebbe mai fare. Ma tutto questo non è più importante perché ora c’è una regina che può ordinare al vento di cessare, che ogni giorno inventa nuovi giochi, con cui si può parlare distesi nell’ovile o nella grotta dove nascondersi alla vista degli adulti. Ecco lo splendore nell’erba: la regina e il suo giovane cavaliere che altro non chiede che poter donare a lei tutta la sua vita. E’ difficile parlare di questo libro, bisogna leggerlo, sentirlo crescere dentro di noi, farci prendere dalla poesia, così lieve e rara, dall’incanto di quei giorni di sole e di innocenza dove anche noi un giorno abbiamo vissuto, Un romanzo scritto con la lingua dell’infanzia, un racconto sulla differenza, su coloro che sanno vedere ciò che gli altri ormai non vedono più (o forse soltanto non lo vogliono vedere), sulla difficoltà di diventare adulti (ma poi, tutto sommato domandiamocelo: ne vale veramente la pena?), dunque sì, un romanzo di iniziazione. Sull’altopiano Shell non sarà più un bambino ma si rivelerà a poco a poco un Piccolo Principe capace di svelare a noi stessi la parte più preziosa dei nostri sogni e di ritrovare la forza irresistibile dei nostri impegni assunti quando eravamo ancora capaci di guardare il cielo azzurro senza nuvole con uno sguardo puro. Assaporiamo quei giorni, quei giorni brevi dell’estate che già volgono verso la fine. Perché arriverà un giorno in cui Viviane – dai non fate quella faccia! perché sorprenderci, perché arrabbiarci, la regina ce lo aveva detto! – un giorno in cui Viviane non tornerà all’appuntamento. Quel giorno la regina del vento avrà lasciato l’altopiano e Shell non potrà neanche andare a cercarla (ricordate? altrimenti si sarebbe rotto l’incantesimo!). Ma un soldato, un cavaliere sa di dover attendere la sua regina, la sua fiducia non verrà mai meno e non può immaginare che anche le regine a volte tradiscono, che anche loro possono abbandonare i luoghi misteriosi dove sono trascorse le ore più belle dell’esistenza. Sì le regine possono essere traditrici, specialmente se sotto il loro mantello azzurro come il cielo hanno anche loro i lividi gialli per le botte di un padre violento. Senza di lei l’altopiano non è più lo stesso e Shell dopo aver a lungo attesa la sua regina rinuncia alla speranza e decide di ripartire. Una guerra ancora l’attende, battaglie di uomini e di eroi, sogni nuovi per curare un cuore ferito. E poi sì, è vero l’ha trovata la casa di Viviane. Non avrebbe dovuto cercarla ma alla fine era lì, in mezzo all’altopiano. L’aveva trovata e aveva le finestre chiuse, sbarrate. Non era un castello, non c’erano le stanze che si muovono (d’accordo questo non è importante, lo aveva sempre sospettato). Di fronte al tradimento della persona che amiamo ci troviamo a dover decidere se vogliamo ancora credere all’incantesimo che ci ha legato a lei e che ci ha costruito come persone speciali e straordinarie o se vogliamo denunciare la falsità del sogno, la miseria di una verità amara che distrugge non solo lei ma tutta la nostra storia e dunque noi stessi. “Hai tradito il giuramento. Allora sono sbottato. No! tu mi hai abbandonato. La traditrice sei tu!. Si è morsa il labbro, che è completamente sbiancato, poi si è scostata da me per andare a guardare fuori dalla finestra. Viviane mi ha fatto segno di parlare più piano. Ti ho lasciato una lettera, ti ho spiegato che dovevamo tornare a Parigi prima del previsto.”. Shell compie la sua scelta, accetta la spiegazione: “Ero triste sì. Ma in un certo senso mi sentivo meglio. Viviane non mi aveva abbandonato, mi aveva scritto una lettera per avvertirmi che partiva. Mi sa che è stato proprio lì , in mezzo agli sterpi secchi che mi pizzicavano le caviglie, che sono scivolato lentamente fuori dall’infanzia per diventare uomo. Era molto semplice a pensarci. Dovevo solo accettare la rabbia di Viviane insieme alla sua amicizia”. Un libro ricco di sentimenti nobili, di generosità che ci trascinerà irresistibilmente fin verso l’ultima pagina, la più dolorosa e al tempo stesso la più dolce dove poter gettare uno sguardo sull’altopiano, sulla nostra infanzia che non c’è più, sui luoghi e le persone che abbiamo amato e che abbiamo perduto, alla regina a cui abbiamo dato la vita. Magico, commuovente, imperdibile.
Roberto Cociancich