Elogio della bicicletta – di Ivan Illich
Sì, lo so, la ginnastica non fa per voi, diffidate saggiamente dei corsi di fitness, pancafit, total-body, stretching, per non dire del pilates.
Il body building vi fa orrore e state leggendo questa recensione placidamente adagiati su un lettino a righe gialle e blu sulla spiaggia di Riccione. Cosa posso dirvi? Avete ragione, avete perfettamente ragione.
Ma aggiungo: questo libro fa per voi. Ivan Ilich, questo straordinario scrittore, storico, pedagogista e filosofo austriaco del novecento, non è interessato ai vostri tricipiti ma alla vostra capacità di elaborare un libero pensiero. Nessun consiglio sul consumo di calorie, sulla dieta ideale, sui materiali tecnici innovativi, questi asfissianti consigli per gli acquisti che ci inseguono e ci assillano sugli schermi televisivi fino a tarda notte. Ivan Ilich vuole parlarvi di democrazia, di crisi energetica, di modelli di sviluppo sostenibile, di giustizia sociale. Ecco perché Elogio della bicicletta di scandalizzerà, vi farà sbuffare, vi irriterà, vi divertirà, vi farà riflettere.
In altre parole vi obbligherà a guardare il mondo da un angolo differente costringendovi a considerare le alternative.
Cominciamo dal titolo: Elogio della bicicletta appare abbastanza fuorviante.La prima parte del pamphlet è, innanzitutto, una critica ironica e dissacratoria dell’organizzazione del trasporto nella società moderna, una requisitoria impietosa dell’utilizzo dell’auto privata, una filippica sferzante dell’attuale consumo di energia, della sua distribuzione tra le classi sociali, del meccanismo perverso e quasi infernale per il quale l’industria auto induce bisogni superflui di velocità e movimento privando l’uomo dell’unica ricchezza insostituibile che effettivamente possiede: il tempo di vita. Chiunque sia rimasto bloccato in coda per 40 minuti davanti a un casello autostradale o nel traffico cittadino di una metropoli capisce cosa intendo.
“L’americano tipo dedica ogni anno alla propria auto più di 1600 ore: ci sta seduto, in marcia e in sosta; la parcheggia e va a prenderla; si guadagna i soldi occorrenti per l’anticipo sul prezzo d’acquisto e per le rate mensili; lavora per pagare la benzina, i pedaggi dell’autostrada, l’assicurazione, il bollo, le multe. Ogni giorno passa quattro delle sue 16 ore di veglia o per la strada o occupato a mettere insieme i mezzi che l’auto richiede. E questa cifra non comprende il tempo speso in altre occupazioni imposte dal trasporto: quello che si trascorre in ospedale, in tribunale e in garage; quello che si passa guardando alla televisione gli spot pubblicitari sulle automobili, scorrendo pubblicazioni specializzate, partecipando a riunioni per l’educazione del consumatore in modo da saper fare un acquisto migliore alla prossima occasione. L’americano tipo investe queste 1600 ore per fare circa 12.000 km: cioè appena 7,5 km per ogni ora. Nei paesi dove non esiste un’industria del trasporto, la gente riesce a ottenere lo stesso risultato andando a piedi dovunque voglia, il traffico assorbe dal 3 all’8% del tempo sociale, anziché il 28%. Ciò che distingue il traffico dei paesi ricchi da quello dei paesi poveri non è un maggior chilometraggio per ogni ora di vita, ma l’obbligo di consumare in forti dosi l’energia confezionata e disegualmente distribuita dall’industria del trasporto.“ Secondo Illich questo sistema ci rende drogati, sì, drogati di trasporto, incoscienti dei poteri fisici, psichici e sociali che i piedi di un uomo posseggono. Incontrarsi significa essere collegati dai veicoli.Libertà di movimento è solo diritto alla propulsione. Ci abituiamo a credere che il livello di democrazia sia in correlazione con la potenza dei mezzi di trasporto e di comunicazione. Non vogliamo più essere maggiormente liberi come cittadini ma essere meglio serviti come clienti.Desideriamo un prodotto migliore, non essere liberati dall’asservimento al prodotto. É la trasformazione da cittadini capaci di relazioni, interazioni, scelte libere alla condizione di passeggeri, soggetti trasportati lungo percorsi scelti da altri, in direzioni previste da altri, con modalità decise da altri. Una strada verso la servitù. Illich considera le conseguenze anche sul piano sociale.Il costo delle infrastrutture necessarie per far viaggiare velocemente una minima percentuale della popolazione, la parte più benestante, circa l’1,2% è totalmente sproporzionato rispetto al costo sociale (tasse e aggravi di tempo) a carico della grande maggioranza della popolazione che non ne può beneficiare. Ogni qualvolta-egli scrive-un camion riesce a raggiungere un remoto villaggio sulla cima di una montagna scompare il mercato locale e l’economia che vi gravitava intorno.Quella strada verrà percorsa in discesa dai giovani senza più lavoro che andranno ad ammassarsi nelle periferie anonime delle megalopoli della pianura.
Il meccanismo argomentativo di Illich è lento ma stritolante.Nostro malgrado cominciamo a pensare che nonostante il tono paradossale delle sue affermazioni esse non sono totalmente prive di fondamento.
Forse è davvero giunto il momento di ripensare in modo radicale il sistema.
In questo contesto ecco riscoperto il valore dei mezzi di mobilità autoalimentata, ad esempio, la bicicletta: “l’uomo in bicicletta può andare tre o quattro volte più svelto del pedone, consumando però un quinto dell’energia“. Il costo sociale delle infrastrutture necessarie alla bicicletta è irrisorio e va sostanzialmente a beneficio di tutti. Non è necessario costruire autostrade per girare in bici ed essa vi può trasportare di casa in casa, da porta a porta. Alcuni anni fa si sarebbe potuto fare dell’ironia sulle tesi di Illich osservando che la rivoluzione socialista non è più in marcia ma avanza pedalando in bicicletta.Rilette oggi le sue tesi ritrovano un senso sorprendentemente attuale e ancora provocatorio alla luce della nuova sensibilità per la crisi climatica, la transizione energetica, la preoccupazione per la riconquista dei tempi di vita. Una lettura quindi che vi farà scendere dalla sdraio a strisce gialle e blu motivati anche a voi a salire sui pedali e consapevoli che “la democrazia partecipativa richiede una tecnologia a basso consumo energetico e gli uomini liberi possono percorrere la strada che conduce a relazioni sociali produttive solo alla velocità di una bicicletta“.
E poi in ogni caso, vi assicuro, andare in bici fa anche bene alla salute.
Roberto Cociancich