Come può uno dei più temuti virus della storia diventare uno degli strumenti usati nella moderna medicina di precisione? L’avventura, scientifica e umana, di Alessandro Aiuti e di suo padre
40 milioni di decessi correlati all’AIDS e quasi 85 milioni di infetti dall’inizio dell’epidemia a oggi nel mondo: le statistiche dell’HIV erano e restano spaventose. Ma dietro ai dati ci sono persone con le loro esperienze, spesso intrecciate in un groviglio di storie, emozioni, ricordi e (ovviamente) la scienza. Nel libro “La cura inaspettata – L’HIV da peste del secolo a farmaco di precisione” – scritto a quattro mani da Alessandro Aiuti, vicedirettore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (SR-Tiget), e Annamaria Zaccheddu, divulgatrice scientifica presso Fondazione Telethon – i protagonisti sono tre: Fernando Aiuti, suo figlio Alessandro (nonché autore del libro) e l’HIV che, come nei migliori lieti fine, da terribile minaccia si trasforma in un potente alleato.
Considerato per molto tempo un nemico invincibile, il virus dell’HIV ha una storia relativamente recente. In soli 40 anni è passato da essere la più temuta infezione al mondo, con effetti devastanti sull’organismo umano, fino ad essere – con opportune modifiche – un farmaco di precisione utilizzato nelle terapie per malattie rare e gravissime. Riassunto così sembra quasi un’avventura di science-fiction, ma è talmente incredibile da essere la realtà. Il passaggio da virus mortale a terapia salvavita non è però scontato, né tantomeno veloce, ed è il frutto della collaborazione di molti scienziati e medici, tra cui Fernando Aiuti e suo figlio Alessandro.
Nomen omen, Aiuti tradotto in inglese è “aids”. Un nome, un destino: è lo stesso autore che scherza tra le pagine del libro, così come – racconta – facevano in famiglia. Se l’HIV oggi non è più una sentenza di isolamento e stigma prima, e morte poi, lo dobbiamo anche allo straordinario lavoro scientifico e sociale di questi due scienziati. Fernando Aiuti, infatti, è stato uno dei primi in Italia ad occuparsi di AIDS quando l’epidemia era agli albori e i casi confermati ancora pochi. Come medico ha seguito pazienti di tutte le età e, come ricercatore, ha portato avanti studi e collaborazioni internazionali per comprendere a fondo questo virus allora completamente sconosciuto.
A distanza di più di 30 anni resta uno dei volti della lotta all’AIDS: famosissimo lo scatto del 1991 in cui bacia una giovane donna sieropositiva, Rosaria Iardino, per dimostrare che la saliva non poteva trasmettere il virus. Una foto che ha fatto il giro del mondo e che ha dato un messaggio forte all’opinione pubblica in anni in cui le fake news e il negazionismo sull’argomento avevano un impatto molto negativo sui pazienti. Nel 2019, quando è venuto a mancare Fernando Aiuti, in una intervista Iardino commentò: “Ci siamo divertiti tanto a fare quella fotografia. Le nostre parole non erano sufficienti: abbiamo creato la più bella e simpatica campagna di comunicazione contro lo stigma a costo zero”. Nel 1985 Aiuti ha anche fondato la prima associazione italiana dedicata all’HIV e all’AIDS, ANLAIDS.
Alessandro Aiuti, cresciuto in mezzo alle battaglie sociali e alla passione per la ricerca scientifica del padre, ha in parte seguito le orme di suo padre: medico e ricercatore, sì, ma in un settore che stava sbocciando in quegli anni, quello della terapia genica. Un interesse comune, oltre all’HIV, è quello delle immunodeficienze: nel caso di Fernando si tratta di quelle acquisite a causa di un agente esterno come l’AIDS; mentre per Alessandro sono quelle primitive, cioè malattie genetiche rare che si manifestano fin dalla più tenera età proprio per il loro impatto negativo sul sistema immunitario e le conseguenti infezioni ricorrenti.
Dopo il successo dell’SR-Tiget nel mettere a punto la prima terapia genica con cellule staminali ad essere stata approvata al mondo (2016), quella per l’ADA-SCID, nel 2020 è stato il turno di quella per la leucodistrofia metacromatica, basata su un vettore derivato dall’HIV.Tra le mani dei ricercatori guidati da Alessandro Aiuti, il virus mortale si è trasformato in utile vettore terapeutico, offrendo una concreta possibilità ai bambini affetti da questa malattia neurodegenerativa. La ricerca del gruppo italiano sta proseguendo e le malattie su cui la sperimentazione è più avanzata sono la sindrome di Wiskott-Aldrich, la beta-talassemia e la sindrome di Hurler. Sono seguite altre quattro approvazioni in Europa di terapie geniche che si basano su questa tipologia di vettore, ma due sono state ritirate dal mercato.
Quel virus che il padre aveva tanto combattuto, il figlio l’ha modificato, smontato e reso innocuo con l’obiettivo di trasformarlo in un efficace vettore in grado di trasportare la versione corretta di un gene all’interno delle cellule. È stato però Luigi Naldini, direttore dell’SR-Tiget – il primo scienziato ad aver dimostrato la possibilità di sfruttare le caratteristiche che rendono temibile l’HIV – cioè la sua capacità di inserirsi stabilmente nel DNA della cellula ospite – per costruire vettori virali ad uso terapeutico. Lo studio, pubblicato nel 1996 su Science, è una pietra miliare della storia della terapia genica. In quello stesso anno si iniziano a vedere i successi della terapia antiretrovirale per gestire l’AIDS: un’annata preziosa per la storia di questo virus, che ora viene gestito come una malattia cronica e per cui si stanno mettendo in campo le più moderne biotecnologie, come CRISPR.
Dalla scoperta alle prime ipotesi su come funzionasse, dai farmaci antiretrovirali alla terapia genica, dallo stigma (purtroppo, tema ancora attuale) alle questioni sull’accessibilità delle terapie: una storia lunga 40 anni, raccontata in prima persona da chi l’ha vissuta, con un linguaggio alla portata di tutti e uno stile avvincente. Le pagine scorrono veloci una dietro l’altra tra gli aneddoti personali, le storie dei personaggi famosi che sono diventati – più o meno consapevolmente – il simbolo della lotta all’AIDS, e le testimonianze di quelli che il virus l’hanno vissuto – seppur in modi diversi – sulla propria pelle.
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