V13 – di Emmanuel Carrère

Cosa è il terrore? Parigi, venerdì 13 novembre 2015. Sono da poco passate le 9 di sera. Un gruppo di terroristi islamici entra nel teatro Bataclan dove si esibisce il gruppo rock Eagles of Death Methal e apre il fuoco contro il pubblico. Contemporaneamente altri terroristi si fanno esplodere davanti allo stadio dove si gioca la partita Francia Germania. Altri ancora setacciano una zona piena di locali e di caffè nel centro della capitale e sparano a caso contro gli avventori ai tavolini. Soltanto quattro ore più tardi gli agenti delle squadre speciali francesi riusciranno a riprendere il controllo della situazione. Sul terreno una carneficina, 130 vittime, quasi 400 feriti, vite spezzate, non solo tra i morti ma anche tra i sopravvissuti, i loro parenti, gli amici, gli amori. Tra le vittime anche Valeria Solesin, una giovane, ricercatrice italiana, una delle prime ad essere colpita dalle raffiche, morta dissanguata tra le braccia del suo fidanzato. Sei anni dopo si apre il processo a carico dei responsabili. Solo uno degli attentatori è sopravvissuto, tutti gli altri si sono fatti esplodere o sono stati uccisi. Emmanuel Carrère, uno dei più celebri scrittori viventi, decide di seguire il processo giorno dopo giorno per nove lunghi mesi, sceglie di immergersi nell’abisso del dolore delle vittime e dei loro parenti ascoltandone una ad una le testimonianze, di inoltrarsi nel labirinto delle procedure legali e processuali che magistrati e avvocati tessono come una tela a sostegno delle reciproche strategie di accusa  e difesa. Sceglie di guardare negli occhi i terroristi, di sondarne le motivazioni, il percorso che li ha portati da Moleenbek alla Siria all’Irak e infine alla porta del Bataclan. Nel corso dell’attentato uno dei terroristi  che ha appena finito di falcidiare decine di persone con il suo mitragliatore AK47 si rivolge a Guillaume,  un ragazzo del pubblico e gli dice “Tu sei con noi. In piedi”. Perché Guillaume non è stato ucciso come tutti gli altri? Forse perché si sono guardati negli occhi e come dice Emmanuel Lévinas diventa molto più difficile uccidere un uomo dopo che se ne è scrutato il volto. Carrère, prima di giudicare,  vuole scrutare il volto dei protagonisti, comprendere. Come Anna Arendt nel processo al criminale nazista Adolf Eichmann, si pone la questione della natura del male, della radice dell’odio. E’ il turno delle testimonianze di coloro che sono usciti vivi, a volte strisciando o calpestando i corpi di coloro che erano morti, delle loro parole al tempo stesso terribili e magnifiche “Per il coraggio che hanno avuto per ricostruirsi, per il modo di abitare questa esperienza, per la forza del legame che li unisce ai morti e ai vivi siamo loro grati, spaventati e arricchiti”. Testimonianze a volte contrapposte nella verità e nei valori che vogliono  affermare: Georges Salines che ha perso sua figlia si dichiara disponibile ad incontrare il padre di uno dei suoi assassini e a scrivere con lui un libro sulla loro terribile esperienza.  Cita Jankélevitch: “L’amore per il malvagio non è amore per la sua malvagità: sarebbe una perversione diabolica. E’ soltanto amore per l’uomo stesso, per l’uomo più difficile da amare”. Patrick Jardin, un altro testimone, ha un’opinione diversa. “Mi accusano di essere pieno di odio ed è vero, signor Presidente, provo odio e la cosa che più mi fa schifo sono i genitori delle vittime che non provano odio. Quello che ha scritto un libro con il padre di uno dei terroristi mi fa vomitare”.  Eccoci quindi di fronte alla questione delle questioni, al motivo ultimo, quello più profondo, la  radice dell’odio. Un odio che, ne siamo consapevoli, è stato prima del Bataclan e lo è stato anche dopo e che ancora oggi mentre scrivo queste righe si nutre di altro sangue, di altre vittime, di quelle  che vorrebbero semplicemente sognare e ballare e di quelle di altri giovani che vengono mandati a spezzare quel sogno e quella danza.  Dice un imputato: “Tutto quel che dite su noi jihadisti è come se leggeste l’ultima pagina di un libro. Il libro dovreste leggerlo dall’inizio”.  Nel corso del processo V13 (venerdì 13)  il libro viene aperto e attentamente analizzato non solo il percorso compiuto dai terroristi per preparare gli attentati ma quello della loro formazione jihadista, della loro radicalizzazione, della strada che li ha portati  a disprezzare non solo la vita degli altri ma la loro stessa vita. Le motivazioni storiche (il colonialismo innanzitutto) l’incompatibilità dell’Islam con i valori della società occidentale corrotta, le ragioni sociologiche dell’emarginazione, quelle economiche, la fragilità psicologica degli attentatori. Eppure per quanto si possa indagare in quella tragedia rimane alla fine ancora una volta la sensazione dell’infinita banalità del male, della inutile follia della violenza, del fatto che l’odio è una forza selvaggia e ineliminabile nella natura dell’uomo ma al tempo che le sue ragioni sono vuote e senza senso.

Roberto Cociancich

IMG_3436